Perche’ Bitcoin consuma energia?
Il concetto di criptovaluta è nato nel 2009, partendo dall’idea che gli utenti avrebbero eseguito software particolari per dedicare la potenza di calcolo dei propri PC a formare l’unità di elaborazione principale della blockchain.
In effetti si ottenne un ottimo risultato: si costruì nella rete un registro decentralizzato e crittografato.
Questo processo, nonostante un successo straordinario e rivoluzionario, dal 2017 iniziò a palesare qualche piccolo difetto.
Infatti, ci si è accorti che l’estrazione delle monete dalla blockchain (il cosiddetto “mining”), richiedeva un quantitativo sempre maggiore di energia elettrica, quasi spropositato.
Difatti, nell’ effettuare tale operazione, si verifica la combinazione di due fattori :
– l’utilizzo di potenti hardware, che devono performare per ore e ore alla massima velocità;
-la durata di utilizzo degli stessi, che varia in funzione dell’hashrate di rete, ovvero del livello di difficoltà di risoluzione del “puzzle” crittografico che è il mining.
Riassumendo: più è difficile il mining, più energia elettrica viene consumata.
Quanta energia viene spesa per Bitcoin?
Sulla base delle stime pubblicate dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, pare che per l’estrazione di Bitcoin in un intero anno venga consumata più elettricità rispetto al consumo annuale di stati come Svizzera o Repubblica Ceca.
Il dato appare piuttosto clamoroso. Tale quantitativo energetico corrisponde a circa lo 0,1/0,3% del consumo globale.
In quest’ottica, se definiamo Bitcoin un mero strumento di transazione, e ne confrontiamo il consumo energetico con quello dello strumento di pagamento VISA (che nel 2018 ha registrato oltre 82 miliardi di transazioni andando a consumare energia per un numero pari a quella consumata da 50 mila famiglie americane), il risultato appare piuttosto impietoso:
Bitcoin, infatti, consuma un computo energetico utile a soddisfare le esigenze di quasi 4 milioni di famiglie.
NB: A onor del vero, c’è da dire che questa analisi, pur impressionante, non può essere del tutto precisa: difatti, anche se l’hashrate della rete totale può essere facilmente calcolato, è impossibile avere dati precisi al millesimo sui termini di consumo di energia, in quanto non c’è modo di sapere che tipo di PC siano accesi a fare mining (e di conseguenza quale sia il loro esatto consumo di energia). Questi dati ignorano comunque fattori rilevanti come affidabilità delle macchine, costi climatici e di raffreddamento. Pertanto, può succedere di imbattersi in stime sul consumo di energia molto diverse le une dalle altre, magari con risultati che si discostano fortemente. Diciamo che pur non esistendo un dato certo, univoco e comune l’unica certezza è che il mining.. sta un po’ “costando” al pianeta terra.
A conti fatti, possiamo dire che il consumo di elettricità così elevato non sarebbe neanche un problema così grave, se non fosse che buona parte delle operazioni di Bitcoin sono giocoforza alimentate dalle centrali a carbone in Cina, sempre più sollecitate e obbligate a produrre energia in quantitativo maggiore. Per quanto i controlli sulle emissioni siano serrati, il Bitcoin rappresenterebbe un ulteriore fattore di inquinamento.
Quali sono le possibili soluzioni?
Per prima cosa, è importante rilevare come da pochi giorni sia avvenuto l’halving di Bitcoin, con l’effetto di dimezzare le ricompense per il mining e, conseguentemente, di renderlo meno appetibile.
Questo fa si che l’hashrate (quindi la difficoltà nell’effettuare il mining) sia destinato a scendere.
Un altro ragionamento da fare, è legato al fatto che le criptomonete si sono basate fino ad oggi su un algoritmo che richiedeva un mining piuttosto pesante, come appena dimostrato; tuttavia, tale algoritmo (chiamato Proof of Work) non è l’unico disponibile su cui si basano le monete elettroniche. Esiste, ad esempio, il Proof of Stake, in via di forte approfondimento e sviluppo negli ultimi tempi, che vede non più i minatori protagonisti dell’emissione di monete, bensì i possessori di valuta: se le criptovalute svoltassero verso questo protocollo, l’intero sistema tornerebbe ad essere ampiamente sostenibile, poiché chiaramente con la Proof of Stake il consumo energetico è assolutamente irrisorio, dal momento che non vi sarebbe alcuna competizione tra miners “armati” di supercomputer.
Per i Bitcoin è difficile che questo avvenga, ma molte monete di ultima generazione sono decisamente più ecologiche, e si presume si possa andare verso una risoluzione positiva in chiave ambientale, con buona pace dei detrattori delle monete virtuali.
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